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Viticoltura e agricoltura sul Carso

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by Davide Zitter
Viticoltura e agricoltura  sul Carso

Potrebbe sembrare strano, a noi del XXI secolo, ma la produzione di vino ha avuto nel territorio triestino molta importanza nei secoli passati. Un ruolo di primo piano che negli ultimi decenni sta recuperando, puntando sulla qualità piuttosto che sulla quantità di un tempo. La prima testimonianza, ormai quasi abusata da chiunque scriva di vini, è quella lasciataci da Plinio il Vecchio, cantore del vino “Pucinum” che veniva prodotto nel golfo di Trieste. Nel medioevo, poi, centinaia di orne di Ribolla – o vino di Prosecco – erano donate annualmente al Doge, fino al 1382, e poi al Duca d’Austria. Anche i molti viaggiatori che transitarono per Trieste scrissero dei vini del territorio e così in un dizionario geografico del 1787: «Trieste abbonda di buoni vini raccolti nei suoi contorni». Cosa confermata a f ine ‘800 dalla superficie a vigneto, che raggiungeva i 1.249 ettari. Oggi sono molti meno, ma la qualità raggiunta dagli anni ’80 ad oggi sopperisce alla minor quantità. Nel 1953 viene fondato il quindicinale “Rinascita Agricola”, su intuizione dell’agronomo ed enologo Duilio Cosma, appena rientrato a Trieste dopo venti anni trascorsi in altre regioni italiane, e del giornalista Bruno Natti. Uscirà fino al 1969 fornendo agli abbonati informazioni tecniche, scadenze fiscali, annunci legali, nonché cronache legate al mondo agrario, orticolo e florovivaistico di Trieste e provincia. Ma anche gli orari di programmi Rai, come “Vita nei campi”, recensioni di libri e molto altro. Interessanti le interviste agli agricoltori locali: in una di queste, a Luigi Lupinc di Prepotto, c’è la prima citazione della “Vitosca”. Simpatici sono i consigli, mese per mese, da seguire in cantina, nella stalla, nel frutteto, nell’orto e in vigna.

VITIGNI TRIESTINI

Fino agli inizi dell’800 i vini prodotti a Trieste e nelle «Ville et Contrade» circostanti erano molti, tra cui il Prosecco, i Moscati, la Breshanka, l’Egiptarza, la Glavazhiza, la Pinella, il Marzemino, il Tschernecaller, il Refosco, il Terrano e i vini di Rojano, di Santa Croce, di Contovello, di Longera e d’Opchina, frutto probabilmente di uvaggi. Con l’avvento delle malattie – oidio, peronospora e f illossera –, da un lato, e della moda dei vitigni stranieri, dall’altro, si affermano, giungendo fino a noi, la Malvasia, la Glera, la famosa Vitovska (già Gargania), il Refosco e il Terrano, fra i vitigni autoctoni; i Pinot, lo Chardonnay, il Sauvignon, il Semillon, i Cabernet e il Merlot fra quelli di origine internazionale.

FORMAGGI

«I Carsolini vivono di latte, formaggio, legumi, poche verdure, pane, acqua e vino» scriveva nel 1781 Antonio Musnig. Il siciliano Matteo Di Bevilacqua che soggiornò a Trieste nel 1818, così descrisse la città: «si trova vendibile nelle strade istesse, e dalle villanette ancora, burro, ricotta, formaggio fresco». Da un articolo del 1860, uscito sul Ljubljanske novice, si scopre che sul Carso «tengono 575 pecorelle e con il latte, dopo averlo convertito in cacio, si cibano». Anche lo svizzero Heer, nel 1887, ricorda che in piazza Grande si potevano comprare formaggi e pure giovani capre! Una tradizione antica, quella di fare formaggi sul Carso, ma per secoli ad uso familiare. Solo alla fine dell’800 si cominciò a vendere il Monte Re e il Tabor. La razza bovina originaria, piccola e semi selvaggia, fu incrociata con la svizzera Moellthal per incrementare gli allevamenti e favorire la nascita di latterie consorziali. Perciò, alcuni anni fa, alcuni allevatori fondarono un comitato per valorizzare i loro formaggi, di latte bovino, caprino ed ovino, rigorosamente crudo e a lavorazione casalinga. Gli animali si nutrono delle centinaia di essenze foraggiere del Carso e i formaggi sono unici: freschi e stagionati (persino in grotta), ricotte e caciotte, anche insaporite dalla santoreggia o dal finocchietto.

 

Sono molti i prodotti di qualità che provengono dai territori del Carso che, nonostante l’asperità, è in grado di offrirne una grande varietà: ortaggi, legumi, cereali, olive. Nelle località adiacenti al mare ovviamente si praticava la pesca e nell’entroterra la caccia. Nella zona carsica si distinguono varie ‘microaree’ dalle caratteristiche distinte, che inevitabilmente influenzano i prodotti che lì nascono e, conseguentemente, la cucina e la tradizione gastronomica. La tradizione gastronomica del territorio ha un’impostazione mediterranea, quindi prevalentemente a base di cereali e verdure di stagione, spezie ed erbe aromatiche. Per quanto riguarda la cucina triestina, risente molto delle influenze internazionali, soprattutto dai Paesi slavi (Slovenia, Croazia e Serbia) e da quelli dell’ex Impero Austro-Ungarico. Si trovano piatti di carne ma anche di pesce, data la prossimità al mare e la sede del Porto Franco dal ’700: goulasch, stinco, zuppe e minestre con fagioli e pancetta (come la tipica jota o la minestra de’ bobici, cioè col mais), cevapcici (di origine serba), agnello al rafano, ma anche il brodetto di pesce (con pesci di piccola dimensione e l’aggiunta di molluschi e crostacei), il baccalà, i sardoni in savòr. Importantissimo era l’allevamento del maiale, da cui si potevano ottenere tutta una serie di prodotti per il sostentamento di tutto l’anno: grasso, carne, salumi. Un prodotto tradizionale del territorio di derivazione suina è la spalla cotta nel pane, generalmente consumata a Pasqua, spesso accompagnata da kren

L’OLIO

L’olio che viene dagli ulivi carsici è di una qualità molto alta e dall’acidità molto bassa, un sapore deciso ed il profumo erbaceo. Gli ulivi occupano circa 115 ettari e gran parte delle olive (circa il 60%) sono della varietà Bianchera-Belica. L’olivicoltura triestina è una tradizione antica del luogo: già in una miniatura del 1350 c’è la raffigurazione di un raccoglitore di olive. Da pochi anni esiste la “Tergeste DOP” e la manifestazione “Olio Capitale”, la fiera italiana più grande dedicata a questo prodotto. Date le particolari condizioni climatiche, nel Carso si producono mieli ricchi di sali minerali ed aromi. Sono molti gli apicoltori attivi sul territorio, dove si trovano diverse varietà di miele: quello di castagno (ricco di polline), ciliegio, tiglio (dal gusto carico), millefiori, melata, marasca, robinia ed acacia (molto pregiato); vengono prodotte inoltre la melata, la pappa reale ed il propoli.

OSMIZE E BUFFET

Tutti i prodotti più tipici si trovano spesso sulle tavolate in legno delle osmize, ovvero le frasche carsoline, che sono aperte soltanto per un determinato periodo dell’anno per accogliere gente del posto e turisti in cerca di tranquillità, natura e buon cibo, il tutto accompagnato da vino, strimpellate di chitarra e giochi di carte. Ogni volta che si entra in un’osmiza, la sensazione che si percepisce è quella di famiglia, informalità ed accoglienza. In città, invece, c i sono i tipici buffet triestini dove provare il mitico rebechin. I piatti non sono leggeri ed escono dalla “caldaia”: carni di maiale, come porzina, lingua e salsicce, lessate, insaporite dal cren e accompagnate dai crauti.

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da Davide Zitter

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