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Una tazza di cioccolata. Privilegio per pochi

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by Davide Zitter
Una tazza di cioccolata. Privilegio per pochi
Photo by Etty Fidele / Unsplash

di Stefano Pizzin

Hernán Cortés, il futuro conquistatore del Nuovo Mondo, è al cospetto dell’imperatore azteco Montezuma e gli viene offerta una bevanda calda, scura, schiumosa, dal sapore amaro e piccante: è la xocoatl, un infuso di fave di cacao macinate con acqua e spezie; è il primo europeo ad assaggiare una tazza di cioccolata. Cortés non ricambiò al meglio quell’offerta, distruggendo l’impero degli Aztechi per consegnarlo alla corona di Spagna e, tra i tanti beni che portò in Europa, c’era anche il cacao. Prima degli Aztechi furono i Maya a bere il cioccolato: una miscela di cacao, acqua, fagioli e pepe, lontanissima dalla bevanda di oggi; servita nelle grandi occasioni e privilegio delle caste nobiliari, gli Aztechi la profumavano con la vaniglia, il pepe o il peperoncino. Il botanico italiano Girolamo Benzoni fu il primo a descriverne la preparazione: le fave di cacao venivano seccate sul fuoco, macinate a pietra, messe in una tazza e sciolte in acqua con le spezie e il rocu, un colorante che le dava il colore del sangue bevuto durante i sacrifici umani. Gli spagnoli prima la provarono come medicinale, poi cominciarono ad apprezzarne il gusto aggiungendovi lo zucchero e togliendo il pepe. Si diffuse in Europa nel XVII secolo; per prepararla si usava una pasta di cacao solidificata in tavolette e grattugiata al momento (solo nel 1828, l’olandese Van Houten inventerà la polvere di cacao). Il commercio del cacao era monopolio degli spagnoli e nella corte di Madrid si inizia a servirla in stoviglie di porcellana e argento. Presto il suo uso si diffonde nelle corti di tutta Europa; in Italia viene introdotta dal mercante f iorentino Francesco d’Antonio Carletti e a Torino, con un decreto di Emanuele Filiberto di Savoia nel 1678, viene autorizzata la prima vendita al pubblico. All’epoca la ricetta prevedeva cacao, acqua, zucchero, vaniglia e cannella, aggiungendo talvolta altri aromi come il gelsomino o il cedro. Più tardi, il medico inglese Hans Sloane, iniziò a diluirla nel latte. La cioccolata trova presto grandi estimatori, fra cui Mozart che la presenta come rimedio alle pene d’amore nell’opera “Così fan tutte” o Goldoni che la fa apparire ne “La bottega del caffè” e “La locandiera”; Casanova ne fa largo uso e tutta l’alta società non può farne a meno. Isaac D’Israeli uno scrittore inglese nel suo “Introduction of Tea, Coffee, and Chocolate” scrisse che l’uso smodato della cioccolata la rese una bevanda “così violenta da suscitare delle insolite passioni con tanto di divieto ai monaci di berla” mentre l’alto clero non la disdegnava affatto. Le mode cambiano e il nuovo spirito dei tempi, quello dell’illuminismo e della borghesia emergente, mette da parte la cioccolata preferendo il caffè. Non è solo questione di gusto e di portafoglio, il caffè meglio si addice alla borghesia: è una bevanda che rende attivi, pronti al lavoro e agli affari, e non l’ozioso diletto della nobiltà. Con la rivoluzione industriale la tecnologia offre al cacao la possibilità di presentarsi in modo nuovo: nascono tavolette, cioccolatini e, con il francese Hanri Nestlé, il cioccolato al latte. Nel 1845 viene fondata a Zurigo la Lindt & Sprüngli che, da pasticceria artigianale, diventa una fabbrica per la produzione della cioccolata. A Torino Michele Prochet, mescolando cacao e nocciole, fa nascere la pasta gianduia, l’antenata del più grande successo dell’industria alimentare italiana nel mondo: la Nutella. Il cacao non arriva più solo dalle Americhe, ma anche dall’Africa e dall’Asia diventando meno costoso e disponibile per un pubblico più largo. Oggi i principali Paesi produttori di cacao sono il Ghana, l’Indonesia, la Nigeria, il Camerun, l’Ecuador. Quella del cioccolato è una delle industrie più ricche al mondo: si stima che il mercato del cacao valga 15,3 miliardi di dollari e sempre in crescita. È un mercato ricco, ma non equo: la maggior parte dei profitti va alle aziende che lavorano il cacao e non ai coltivatori, il grosso del processo di lavorazione avviene fuori dai Paesi di coltivazione, senza che essi abbiano una ricaduta economica. In Costa d’Avorio e in Ghana i contadini locali guadagnano stipendi al di sotto della linea di povertà assoluta (meno di 1,90 dollari al giorno), nonostante il cacao sia considerato un bene di lusso. La sfida del futuro deve essere quella di produrre un cacao ambientalmente e socialmente sostenibile, per fare sì una tazza di cioccolata non torni a essere solo un beneficio di pochi ricchi a danno di produttori sempre più poveri.

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da Davide Zitter

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