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La BOTTEGA  di TRIMALCIONE

La BOTTEGA di TRIMALCIONE

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by Davide Zitter

di Stelio Smotlak

L a figura bronzea di Massimiliano d’Asburgo si staglia struggente, rivolta a mirare il mare. Siamo a Trieste lungo le Rive, in Piazza Venezia. Un tempo si chiamava Giuseppina dal nome del sovrano regnante all’epoca, Giuseppe II. Pochi passi a svoltare dietro l’angolo e si trova un locale. La lunetta sopra l’ingresso riporta la scritta trattoria ma è una bottega, la Bottega di Trimalcione. Rifugio sicuro per gli amanti del mare e dei suoi frutti. Il nome rimanda al personaggio del “Satyricon” dello scrittore latino Petronio. Evoca l’idea di un banchetto esagerato, dove i piaceri della tavola risuonano con quelli dell’alcova. La Bottega è il regno di Walter Zacchini, chef e titolare. Una cinquantina i coperti. L’ambiente è di gusto marinaresco, con in bella mostra un tavolo stile “navy” originale vittoriano. Walter è figlio d’arte: praticamente nato in cucina. Narratore suadente, sicuro di sé. Consapevole di saper fare. “Siamo artigiani: usiamo le mani. Sulla qualità e genuinità non ci piove”. Ha l’ambizione di preparare tutto in casa, ispirato alla migliore consuetudine italiana. Appassionato di musica barocca, suona chitarra e tastiere, esibendosi al caso pure nel locale. Non disdegna di recitare liriche per il godimento degli ammirati ospiti. Colleziona testi culinari. Curioso, ama la storia: interessato all’evoluzione umana. In cucina è coadiuvato da Mykola, sous chef, e dall’aiuto Abdul. La sala è curata da Sanela. Al lavoro si ride e si scherza. Non manca qualche goliardata. “È bene convivere in serenità, altrimenti non reggi alla fatica”. Cucina quale scuola di vita, dove si cresce e si matura: “si inizia da passerotti per poi ritrovarsi aquile”. Chef Zacchini ha un rapporto viscerale con la materia prima. È legato alla tradizione: “l’uso di ingredienti esotici toglie al piatto identità e personalità”. Rimane tuttavia aperto alle tecniche più aggiornate. Il logo del locale è evocativo: un pesce vola sulle onde. Quindi mare e sempre mare. Eventualmente carne solo su prenotazione. Di norma usa l’extravergine. Il menu propone antipasti stratosferici. Quando arrivano in tavola sembra di essere a teatro: uno spettacolo. Da provare tutti e quattro i “piatti degustazione”. Variano leggermente a seconda della stagione e del pescato di giornata. Il Plateau delle Crudités: tonno con confettura di cipolla di Tropea; salmone salmistrato in casa, servito con crema di rafano quale scherzoso omaggio al “cotto & cren” tanto caro ai triestini; canestrelli al naturale, capasanta scaloppata a micro fette al profumo di arancia; carpaccio di branzino, scampi e gamberoni; polpo ridotto in pasta e tagliatelle di calamaro; alici marinate al limone e una spruzzata di vino. In felici occasioni può comprendere ricci, ostriche, cicale e cannolicchi. La Tavolozza di Trimalcione: un concerto di antipasti caldi. Il Gran Gratin: sinfonia di bivalvi, crostacei e filettini di pesce spolverati con pane grattugiato e passati al forno. E ancora, di epicurea soddisfazione, La Padellata: cozze e ogni sorta di conchiglie, aperte in padella e magari saltate con altre squisitezze. Ma anche il più semplice mantecato di branzino si offre con toni di sicura emozione. Primi e secondi evadono da esotismi e voli pindarici regalando piatti di schietta autenticità. Così la quenelle di spigola in bisque di gamberi: un piacevole contrappunto di consistenze e aromi. Oppure il branzino “nature”: una poesia di umori. Tutti i dessert sono fatti in casa. La crepe all’arancia amara arriva fiammeggiante in tavola. Mentre la misurata lista dei vini offre varie possibilità di appaganti abbinamenti. Walter è convinto che la tavola vada vissuta con divertimento. Divertiamoci!

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