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Il formaggio sul Carso
Photo by Alexander Maasch / Unsplash

Il formaggio sul Carso

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by Davide Zitter

di Stefano Cosma

Capre e pecore sono state allevate per secoli in questa zona, poichè questi due animali erano più in grado di adattarsi ai terreni poco fertili del Carso rispetto ai bovini. Da allora la situazione è molto cambiata, tant’è che sono principalmente le vacche ad essere allevate, usate soprattutto per la produzione del latte e quindi di latticini e formaggi. Nel 1781 Antonio Musnig scriveva che “i Carsolini vivono di latte, formaggio, legumi, poche verdure, pane, acqua e vino”, mentre Matteo Di Bevilacqua nel 1818 disse che nella città di Trieste “si trova vendibile nelle strade istesse, e dalle villanette ancora, burro, ricotta, formaggio fresco”. Inizialmente, le famiglie del territorio si occupavano soltanto di allevamento degli animali, il cui latte veniva venduto in città. Quella della produzione di formaggio è una tradizione antica, che però inizialmente veniva fatta in famiglia: soltanto alla fine dell’800 lo si cominciò a commercializzare grazie alla vendita del Tabor e del Monte Re. Quest’ultimo prevede una stagionatura minima di 4 mesi ed una quantità di latte caprino di gran lunga inferiore rispetto ad una volta. Come ho avuto modo di scrivere nel libro “Vitovska – Frutto del Carso”, negli ultimi anni a ritagliarsi un piccolo ma importante spazio nello scenario della gastronomia del Carso sono i produttori lattiero-caseari: il formaggio è infatti un prodotto di nicchia ma più che degno di menzione. Perciò, otto produttori carsolini hanno fondato nel 2006 il marchio ‘Moisir’ (da moj sir, sloveno per ‘il mio formaggio’: una produzione a partire da latte crudo di bovino, caprino ed ovino) per promuoversi, poi sono cresciuti di numero e oggi ognuno cammina con le proprie gambe. Possiedono allevamenti di bovini, caprini ed ovini. Ricotta, stravecchio, tomino: queste alcune delle tipologie che si ritrovano sia al naturale che arricchiti di piante spontanee come santoreggia e finocchietto. Famosi il Tabor, un latteria, e lo Jamar, stagionato nelle grotte da Dario Zidarič. Il Tabor è un formaggio derivato puramente vaccino e viene tenuto in salamoia prima della stagionatura, mai inferiore ad un mese. Il latte di capra viene utilizzato soprattutto per la produzione della caciotta: cilindrica, semidura, salata a mano dopo aver fatto raffreddare e rassodare la cagliata nelle formelle apposite. All’Esposizione del 1871 il comm. Morpurgo de Nilma prese la medaglia di bronzo per pecore e capre. Aveva anche caproni del Heggias, mentre tale Brinschig aveva pecore di razza padovana e il Lorenzetti aveva capre dalla Sierra-Leone, il Comizio agrario di Dignano, sotto Trieste, portò in assaggio formaggio pecorino.

DARIO ZIDARIČ

Un noto produttore è Dario Zidarič, i cui formaggi vengono lavorati esclusivamente a partire dal latte crudo. A contraddistinguerlo è senza dubbio lo Jamar, simbolo della sua creatività: viene fatto stagionare a 70 metri di profondità, in una grotta accanto alle stalle, dove umidità e temperatura sono costanti, rispettivamente 90% e 12°C. È un formaggio a pasta semidura, dal sapore intenso. Il procedimento per la sua produzione prevede una doppia rottura di cagliata e 4 mesi di stagionatura aggiunti ad ulteriori 4 in profondità, ed infine 1 mese di asciugatura. Con la Vitovska di suo cugino Benjamin Zidarich sta benissimo! Quando si chiede a Dario cosa l’abbia spinto a pensare di produrre questa tipologia di formaggio, lui risponde genuinamente che, oltre alla qualità che vuole assicurare coi suoi prodotti, parte dalla volontà di esprimere il territorio: la bora, la grotta e la ricchezza botanica, presente nel territorio di cui si nutrono le mucche che poi producono il latte. La flora Carsica si nota anche nelle erbe che spesso vengono aggiunte ai prodotti, come il ginepro, il finocchio all’interno della caciotta o la santoreggia, da cui il nome Žepek.

I ŠUC

Pur esistendo da 50 anni, l’Azienda Šuc ha aperto nel 2006 grazie alla volontà di due giovani fratelli: Erika, che si occu pa di carne, formaggio e la rivendita, e Mitja, più orientato verso le vigne. Hanno allevamento di vacche, con le quali hanno quindi latte con cui produrre formaggio. Producono poi anche salumi e carne fresca di bovino e manzo. Per quando riguarda il vino, lo vendono sfuso: c’è un uvaggio misto di Malvasia e Vitovska, un Refosco e uno Chardonnay. La proposta casearia è molto ampia e varia, spaziando da ricotta, mozzarella e yogurt, alle caciotte a vari gusti (cipolla, pepe, semi di zucca, santoreggia, timo), stagionate 1 o 2 mesi, ad un prodotto che non si è soliti trovare nei caseifici del Carso: la robiola che, ci spiega Erika, viene realizzata attraverso un processo acido che dura due giorni. Hanno 25 bovini, di cui 12 da latte, e 4 cavalli che si prestano a fare passeggiate per il circondario, volendo anche con la carrozza. Le vacche stanno tutto il giorno al pascolo, da mattina a sera, tutti i giorni dell’anno; una volta avevano anche capre, ma a causa della necessità di molto spazio e cura, ce ne sarebbero volute in gran numero per una produzione che legittimasse il loro mantenimento. Le loro mucche producono circa 16 litri di latte all’anno: hanno deciso di non spingere troppo nella mungitura, puntando di più su una vita più longeva, dalla quale deriva un latte di maggior qualità (anche se in quantità minore). Tutti i loro formaggi sono prodotti a partire dal latte crudo, che vendono a chi lo vuole. Il progetto futuro è quello di produrre anche la loro farina: assieme alla verdura e a tutti gli alimenti che già producono, li renderebbe completamente autonomi per la preparazione di qualsiasi pietanza. Tra poco ci sarà la raccolta di frumento tenero: hanno in piano di macinarlo e rivenderlo immediatamente dopo, fresco di molitura.

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