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CELSO MACOR. Poeta, scrittore e letterato goriziano

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by Davide Zitter
CELSO MACOR.  Poeta, scrittore e letterato goriziano

di Rossella Dosso

Ogni territorio ha il suo cantore. E quello spicchio di terra che al di qua delle Alpi era parte della Contea di Gorizia, identificandosi nel Friuli goriziano, l’ha trovato in Celso Macor (Versa di Romans d’Isonzo 1925 - Gorizia 1998), che ha narrato con straordinario pathos le vicende di un luogo accogliente dove friulani, italiani, sloveni e tedeschi hanno convissuto per secoli con sorgiva tolleranza, facendo della pluralità una ricchezza reciproca e condivisa. Poi gli eventi bellici lacerarono l’ordito sociale che univa sensibilità culturali diverse ma compatibili, innalzando un confine che mortificò una civiltà virtuosa. E allora quelli che nell’Impero austro-ungarico erano riconosciuti come popoli, negli stati nazionali furono derubricati a minoranze, mutilate delle loro peculiari vocazioni e assimilate a una coatta condizione unificante. In questa turbata temperie, Celso Macor ha raccontato le contraddizioni di un mondo che si stava trasformando e che seminava divisioni, macerie fisiche e ideologiche, e confini che avrebbero brutalizzato i diritti dell’uomo travolgendo un passato che il poeta racconta con rimpianto attraverso la saggezza degli anziani, l’armonia e l’incanto dell’ambiente, teatro dell’alacre lavoro di genti umili ma dignitose, capaci di trarre le risorse necessarie per affrontare con fierezza e con speranza le fatiche quotidiane dalla fede cristiana e dalla solidarietà che affratella i protagonisti di un mondo contadino povero ma ricchissimo di valori e di umanità.

“Celso Macor è il poeta della storia drammatica delle genti dei campi”, disse di lui lo storico Camillo Medeot, che questa vicenda l’ha raccontata nella loro lingua, che era anche la sua – il friulano – osteggiato e spregiato per boriosa ignoranza, che gli permise tuttavia di conquistare la ribalta europea. Il suo è il friulano di Versa di Romans d’Isonzo, il piccolo paese d’origine, arricchito delle voci provenienti dagli influssi veneti, triestini, sloveni, tedeschi, ed esposto da secoli alla contaminazione delle parlate limitrofe: una caratteristica del friulano “sonziaco”, aggettivo sostantivato che il linguista Ugo Pellis coniò per identificare l’origine antica della parlata neolatina del Goriziano, quell’area che oggi si direbbe Isontino perché attraversata dal fiume sacro alla Patria: Sontius, com’era chiamato in latino l’Isonzo. A’ era una tiara creada par no vê cunfins (Era una terra creata per non avere confini), i quali hanno invece lacerato e diviso questo lembo di Friûl dolz, font, Friûl di confin messedât e fuart (Friuli dolce, profondo, Friuli di confine mescolato e forte), ricorda Macor. La sua poesia, lungi dall’apparire un esercizio retorico, diventa lo strumento per rappresentare un mondo dove Dio vigila sugli uomini e sulla realtà contadina che media tra la fisicità della natura e “quel tanto di divino che la natura fa sentire a chi la adopera per vivere e la sa ascoltare”, rileva Ferruccio Tassin. E Celso Macor la natura l’ha ascoltata assecondandone lo sviluppo immutabile dei giorni e delle stagioni che attraverso i loro ritmi circolari inducono alla rinascita: parzè vaî lì fueis ch’à colin/se colin a ogni siarada par tornâ ta viarta? (Perchè piangere le foglie che cadono/se cadono a ogni autunno per tornare in primavera?). Responsabile dell’Ufficio stampa del Comune di Gorizia, scrisse su periodici goriziani e regionali e fu direttore della rivista culturale “Iniziativa Isontina” e di “Alpinismo goriziano”. Ha pubblicato tre raccolte di poesie e due di prose, poi riunite ne I fucs di Belen. Dopo la sua morte sono state pubblicate due raccolte di inediti, Svualâ senza slaifs (Volare senza freni), compendio poetico, e Trilogia isontina, una selezione di prose. Ebbe un rapporto intenso e fecondo con Biagio Marin al quale lo accumunava la poeticità della prosa: caratteristica di chi scrive ascoltando il cuore.

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