VINI E SAPORI - Storia e Arte delle Colline spilimberghesi

di Claudio Fabbro
Salutare Emilio Bulfon per l‘ultima volta lo scorso mese d’aprile in quel di Valeriano è stato per quanti di noi che lo hanno conosciuto, frequentato ed apprezzato, un momento di infinita tristezza. Lo ricordiamo spesso anche con i colleghi del Cenacolo Enologico Friulano, guidato da Gigi Michelutto, con i quali ci siamo goduti una memorabile giornata insieme a lui, la sua metà Noemi ed i figli Alberta e Lorenzo, da sempre al suo fianco e che da lui hanno ricevuto, col pianto nel cuore, un importante testimone. Fu esattamente il 22 giugno 2019 che la Famiglia Bulfon, battendo sul tempo i tormentati mesi ed anni ‘pandemici’, ci accolse aprendo per noi vigneti e cantine, ma anche una ricca documentazione di cui coglieremo sintetici riferimenti. Furono momenti di grande interesse, per conoscere dai protagonisti le storie e vicende dell’Alto Spilimberghese, in una giornata iniziata con una visita guidata da Alberta alla Chiesa Santa Maria dei Battuti di Valeriano (Pinzano al Tagliamento), recuperata con grande professionalità e passione dopo la devastazione causata dal sisma del 1976, per spostarsi poi nell’azienda agricola Bulfon dove Emilio, Lorenzo e la stessa Alberta hanno illustrato le caratteristiche dei vini da viti autoctone (Sciaglin, Forgiarin, Piculit neri, Ucelut ed altre) salvate dall’oblio e dalle mode dilaganti, Pinot grigio e dintorni, Prosecco a seguire.
EMILIO BULFON, VIGNAIOLO ILLUMINATO: UNA VITA FRA ARTE, STORIA ED ENOLOGIA
A parlare con quei gloriosi enologi che, nel primo dopoguerra, presero per mano il Vigneto Friuli devastato dai conflitti mondiali, dalla fillossera e dintorni, il quadro che ne usciva era davvero sconsolante. C’era, infatti, da partire da zero, in un mare di vino rosso, vigne promiscue dappertutto, frequenti “spalliere”, cognizioni agronomiche approssimative, tecnologia di cantina da far pena. Soccorreva il tutto una grande sete: si viaggiava ben oltre i 150 litri/ pro capite all’anno ed un diverso, più permissivo o meglio assente codice della strada. Non c’era la patente da difendere dall’etilometro, anche perché non c’era l’auto da guidare! Ed a piedi o in bicicletta, si sa, anche i platani fanno meno paura! Le cose cambiarono alquanto appena alla metà degli anni ’60, quando il decreto sulle D.O.C. (DPR 930/63) dette il primo grosso scossone. Allora si decise, nell’impostazione dei primi disciplinari, di fotografare la situazione esistente, a partire dal Merlot e dal Tocai friulano, dopo 10 anni arrivarono le prime modifiche (venne il turno dei Pinot e del Sauvignon) e poi dilagarono “gli universali” (Chardonnay e Cabernet Sauvignon ovviamente in testa).
EMILIO BULFON, ENOTECNICO CONTROCORRENTE
Non la pensò così Emilio Bulfon, perito agrario-enotecnico calatosi nel pratico a diploma ancor caldo in un territorio fra i più difficili del Friuli intero: le colline spilimberghesi. Fu in queste terre, in gran parte abbandonate dai contadini che alla miseria preferirono l’emigrazione, che Bulfon iniziò la ricostituzione di un patrimonio ampelografico altrimenti destinato all’archivio. Frugando fra i “ronchi” di Castelnovo, Costabeorchia e Valeriano (Pinzano al Tagliamento) riscoprì quelle viti di cui parla vano i vecchi; viti rustiche, longeve alquanto, in grado di offrire sensazioni organolettiche diverse dal “foxi” (leggasi Isabella o Fragolino), ma anche dagli “universali”. Alla caparbietà del nostro pioniere portò soccorso – nel mezzo di una generale indifferenza, per non dire ironia - qualcuno che ancora credeva nel “vecchio Friuli”: nomi importanti nelle istituzioni, nella cooperazione, nella ricerca, nell’imprenditoria agricola, fra i qua li Orfeo Salvador, Ruggero Forti, Antonio Calò, Piero Pittaro. La rivista “Il Vino” gli dedicò pagine importanti con Amedeo Giacomini ed Isi Benini e le foto di Mario Casamassima, che gli furono vicini quando il terremoto del 6 maggio 1976 lo costrinse a ripartire da zero. L’Amministrazione Provinciale di Pordenone, che brillava per l’efficienza del proprio Ufficio agrario ed aveva il proprio fiore all’occhiello nell’azienda sperimentale “Rinascita” di Spilimbergo ben volentieri sposò la causa di Bulfon, addirittura allargando la ricerca ad altri autoctoni. Una trentina in tutto. LE VITI DELLA MEMORIA Il buon lavoro di squadra pubblico e privato si meritò una ciliegina sulla torta e cioè il prestigioso Premio Nonino RISIT D’AUR (ovvero la “Barbatella d’oro“, Percoto 1986). Fu indubbiamente la potenza mediatica del “Premio” ad abbattere l’ostacolo della burocrazia ed arrivare alla stanza dei bottoni, imponendo di fatto la riesumazione di tutta una serie di vitigni autoctoni, estratti a forza dalle catacombe e dalla clandestinità (per chi li piantava allora c’era la sanzione e per le viti la motosega). Partirono da questo Premio azioni forti, decise, convinte verso il Ministero dell’Agricoltura che andava riscrivendo gli elenchi dei vitigni raccomandati ed autorizzati, che la CEE avrebbe poi recepito e regolamentato. Con Decreto ministeriale del 6 maggio 1991 gli “autoctoni delle colline spilimberghesi” vennero f inalmente inclusi nel Catalogo nazionale delle varietà. Fu un meritato riconoscimento alla serietà e al coraggio di Emilio Bulfon (originario proprio di Ronchi di Percoto, nacque nel 1938 da una famiglia di “fattori” che aveva lasciato nel 1964 per iniziare la sua avventura nei colli spilimberghesi) che non ha mai mollato e che, nel tempo, ha addirittura rilanciato creandosi una propria immagine e vestendo personalmente le confezioni con etichette personalizzate e create “in proprio”, così come tutto quello che abbellisce e rende suggestiva la piccola cantina di Valeriano. Piccole opere d’arte le etichette che Emilio ha disegnato personalmente, con diversificazioni cromatiche secondo le varietà; infatti riproducono un affresco dell’Ultima cena della trecentesca chiesa di Santa Maria dei Battuti di Valeriano. VALERIANO E DINTORNI Splendida la giornata didattica organizzata per il “Cenacolo Enologico Friulano” da questo amico di lunga data e sua figlia Alberta, un mix di cultura e sprint comunicativo non comune. Insieme a lui, sua moglie Noemi, suo figlio Lorenzo ed ovviamente Alberta il 22 giugno 2019 l’abbiamo passato tra le colline di Castelnovo, Valeriano ed in particolare di Costabeorchia (a me particolarmente cara perché vi nacque mia madre Rita e che mi ospitava nella fase preparatoria degli esami universitari). A Valeriano la famiglia Bulfon ha anche ristrutturato un vecchio fabbricato rurale per farne un esclusivo centro agrituristico in cui si ritrovano nelle periodiche rimpatriate estive, vari emigrati, fra gioie, emozioni e struggenti amarcord. Una giornata da incorniciare, anche per le interessanti “verticali” dei vari Ucelut, Piculit neri, Sciaglin, Forgiarin nonché Moscato rosa e per un primo approccio con nuovi arrivati, che ritroviamo in etichetta con nomi dedicati quali Blanc e Ros di Sanzuàn, Cianorôs ed un potente uvaggio Pecòl ros, compendio di profumi ed aromi delle varietà a bacca rossa descritte precedentemente. Vitigni d’altri tempi ma che possono rappresentare un futuro, almeno stando agli apprezzamenti dei tecnici del prestigioso Centro Ricerche di Conegliano Veneto che li stanno monitorando da tempo. Ci siamo inerpicati, ansimando, per toccare con mano una buona parte dei suoi 23 appezzamenti (o meglio, fazzoletti vitati) testimonianze di una viticoltura che definire eroica è poco. Ci siamo lasciati nella speranza che questo messaggio controcorrente che Emilio ha lasciato possa trovare, nei giovani imprenditori vitivinicoli friulani, un terreno fertile e davvero alternativo alle mode che hanno trascinato mezzo mondo verso Chardonnay e Cabernet Sauvignon, tormentati dalla barrique e dalla dipendenza aromatica di tostature e vaniglia; oppure verso bollicine e Pinot grigio, in crescita esponenziale. Perché le mode passano, ma la storia resta.