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Tiburzio Donadon

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by Davide Zitter
Tiburzio Donadon

e le 45 tavole acquarellate sulle uve del Friuli Venezia Giulia e del Veneto

di Claudio Fabbro

Nel 1939 l’artista Tiburzio Donadon (Motta di Livenza 1881 - Pordenone 1961) pubblicò 45 tavole acquarellate realizzate per accompagnare le schede delle viti e dei vini del FVG dell’agronomo Guido Poggi. Il nome di Tiburzio Donadon, oggi poco conosciuto anche dagli esperti d’arte, è riemerso recentemente visitando la splendida cornice dell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena, comune new entry nella prestigiosa famiglia delle Città del Vino. E poiché la biblioteca di chi scrive, se rivisitata con attenzione, offre preziosi documenti dormienti, collegare Donadon, che nel lontano 1916 restaurò con mano felice importanti affreschi dell’Abbazia di Sesto, ad un’opera custodita gelosamente da decenni in un prezioso cofanetto ligneo, ne è stata naturale conseguenza.

L’ARTISTA

Di Tiburzio Donadon presento qui alcune delle sue meravigliose tavole, ma mi preme ricordare in questa occasione alcuni importanti aspetti del suo lavoro artistico che apprese a Motta di Livenza alla scuola del restauratore locale Domenico Prosdocimo (con studio accanto al Duomo di San Nicolò), prima di frequentare le Belle Arti a Venezia, iniziando poi il suo impegno di restauratore nella Basilica mottense della Madonna dei Miracoli. Sposatosi con Giuseppina Milanese, si trasferì a Pordenone, dove aprì un proprio laboratorio di restauro e iniziò a lavorare a cominciare dall’Abbazia di Sesto e poi in numerose chiese, ville e castelli dell’intera regione. Quando nel 1939 l’illustre agronomo Guido Poggi, completate le sue schede sulla viticoltura friulana realizzò l’Atlante Ampelografico, per le illustrazioni fu dato incarico al pittore Tiburzio Donadon allora al culmine della fama. “Egli – ha scritto Gabriella Bucco (“A come Arte e Agricoltura”, pp. 49-57, nella rivista Tiere furlane–Terra friulana, n°1, giugno 2009) – elaborò ad acquerello (o forse tempera) quarantacinque tavole a colori, che per ogni vitigno prevedevano una tavola con il germoglio e il grappolo d’uva, mentre i tralci, compresa la loro sezione, componevano l’ultima parte del testo partendo dalla tavola XXXVII”.

A quell’epoca Tiburzio Donadon era già molto noto e stimato, avendo iniziato il suo primo restauro in terra friulana nella ricordata Abbazia di Sesto al Reghena (Pordenone) nel 1906. Poi, negli anni Trenta – continua Gabriella Bucco – fu impegnato in importanti restauri su affresco: dalla cappella tiepolesca del Duomo di Udine alla chiesa di Segnacco, a quella di San Antonio Abate di San Daniele. Nel 1938 operò a Trieste sugli affreschi del Quaglio nella cattedrale di San Giusto e fu uno dei pochi artisti a praticare la pittura decorativa per palazzi profani, tra cui il castello di Zoppola (1932) e numerosissime chiese. Nella chiesa di San Giovanni di Casarsa (1911) collaborò con una fitta rete di artigiani, poiché era solito ideare non solo l’apparato decorativo, ma anche gli arredi. Alla fine degli Anni Venti, Donadon si occupò anche di decorazioni profane, dove spesso riprese i modelli settecenteschi, come nel palazzo Sbrojavacca (1929-1932), sede della Provincia di Pordenone. Negli edifici religiosi passò gradualmente dalle eleganti schematizzazioni di Camino al Tagliamento (1933-1937) alle volumetrie novecentesche, più contenute nella chiesa di San Giacomo a Ragogna (1932-1941) e nella chiesa del Cristo di Udine (1940 1941), con effetti scenografici a Barbana (1934-1942). Tiburzio Donadon scomparve nel 1961 e la sua opera – prosegue Gabriella Bucco – finì rapidamente dimenticata non essendo né antica né contemporanea: i restauratori erano ormai dei tecnici, i pittori si orientavano verso l’astrattismo. Così il suo nome fu scordato proprio per quelle qualità di realismo e di perizia tecnica, che probabilmente lo avevano fatto scegliere come illustratore. Gianfranco Magri, pittore e restauratore, che ne fu l’ultimo “garzone” – ancora ricordata la bellissima mostra che Pordenone dedicò nel 2012 a Magris e Donadon, suo maestro e mentore – spiega che Donadon studiava la realizzazione dell’opera in rapporto alla collocazione, era sperimentale nelle tecniche in cui usava una sorta di emulsione ad encausto con olio di noce o una tempera ad effetti materici, un composto gelatinoso che andava mescolato ai pigmenti. In effetti – conclude Gabriella Bucco – le tavole dell’Atlante ampelografico, forse tempere più che acquerelli, rivelano tutta la sua abilità nell’usare delle tinte calde e luminose, dai toni però smorzati ad imitazione della decorazione murale. Anche per questo le bellissime tavole di Tiburzio Donadon restano insuperate.

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da Davide Zitter

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