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Racconti di CLADRECIS

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by Davide Zitter
Racconti di CLADRECIS

di Emanuela Serato

Romano Maran, ex carabiniere in pensione, è un fiume in piena nel raccontarci le proprietà delle erbe che raccoglie e che conosce fin da ragazzo. Nato a Cladrecis 80 anni fa, dopo aver girato l’Italia, è tornato nel paesino d’origine. Ci fa assaggiare una grappa fatta con la Centaurium Erythraea, detta millefiori «dal gambo alto, fa dei rametti con fiorellini rosa, maturi in luglio. Vuole sole e luce. Negli Anni ’50 la raccoglievo nei prati e la vendevo alla Farmacia Colutta di Udine: 10 lire per ogni piantina». Serve per digerire, incentiva la bile a fare il suo lavoro. «Si può fare una tisana, con fiore e gambo seccati all’ombra, oppure si mette nella grappa, un mazzetto per litro, è molto amara». Poi ci parla del Levisticum officinale, ovvero sedano selvatico (montano) da primavera. Anche questo va nelle tisane e nelle grappe, ma pure nel minestrone al quale dà profumo, ed è digestivo. «Quand’ero bambino non si faceva la grappa, ho scoperto la distillazione a 30 anni. Qua le grappe erano cose da Alpini». Romano ci racconta di quando a Vernasso una del paese era andata in sposa e alle 6 del mattino già gli dicevano «Bevi un bicchierino» hanno insistito e alla fine ha bevuto la grappa alle susine. «Era ottima, così ho iniziato a distillare e ho adottato una tecnica che pochi conoscono: senza alcool metilico». Durante l’epidemia del Covid beveva ogni mattina una grappa, così non lo ha contratto! Oppure stando a Cladrecis non c’era rischio di infettarsi. Perché Cladrecis è un piccolo paesino, la cui storia inizia prima del 1318 (anno a cui risale il suo Statuto) quando il Patriarca di Aquileia venne a inaugurare il campanile e a prendere il vino, «perché era un territorio di grande produzione e nel bosco si vedono ancora i terrazzamenti. Cladrecis era la maggior frazione dotata di sede comunale – ricorda orgoglioso – perché Prepotto era palude». Romano Maran ha anche una storia sullo Schioppettino, legata alla peste scoppiata nel ’400. «Qui ci furono tanti morti e il Patriarca fece venire popolazioni slave dalla vasta diocesi aquileiese, che si sono insediati in quel periodo, a Quadrezzis, Selišče, divenuto Cladrecis nel 1866. Gli slavi del tempo arrivavano dalla Bosnia, avevano cognomi di origine croata, serba… e portarono lo Schioppettino, il cui nome originario era Pokalca». A Cladrecis è arrivato, non a Prepotto. «I miei nonni hanno sempre fatto lo Schioppettino, io già a 8 anni l’ho vendemmiato; si raccoglieva per ultimo. Qui c’era anche il bianco Cividin che cresceva come fosse selvatico. Ricordo che travasavamo con i secchi la Ribolla e la Malvasia istriana che sapeva di Sambuco. I miei nonni – racconta – portavano il vino con il carro trainato dai buoi ai frati di Castelmonte». Dopo la pensione Romano Maran è tornato qui e ha deciso di avere vigneti e di fare l’agriturismo, che ha chiuso 10 anni fa. «C’era anche una qualità di uva con cui si faceva il vino rosso Saibel (probabilmente un incrocio Seibel) che non aveva bisogno di trattamenti: lo chiamavano anche “francese”, un rosso simile al Pinot nero, alcolico». Romano era così appassionato che da ragazzo, a 12-13 anni andava a pigiare l’uva da tutti i vicini, con i piedi dalle 19 a mezzanotte. «Mi hanno insegnato a come fare, prima pigiavo ai lati, poi in fondo… era difficile e bisognava fare velocemente. Dai 12 anni andavo a falciare, fino a 14 ore al giorno, aiutavo pure il boscaiolo portando legna sulle spalle! 800 quintali tagliati con la scure e portati su dalla scarpata. Mi davano 100 lire a quintale». Si è fatto le ossa con questi lavori faticosi, ma anche guidando il trattore cingolato, raccogliendo il granturco, ascoltando i vec chi cantare e bevendo anche lui il vino che gli davano col cop: Malvasia, Schioppettino, Zividin, Ribolla… «Oggi Cladrecis ha 32 abitanti, quella volta eravamo almeno 60 o 70 bambini e andavamo a scuola a piedi a Bodigoi, talvolta con un metro di neve, con gli zoccoli. Per andare a messa a Castelmonte, invece, camminavamo a piedi scalzi e, arrivati in piazza, ci mettevamo i sandali. Poi nell’osteria gli uomini cantava no e bevevano e la sera si ballava sul breâr al suono della fisarmonica. L’economia – ci racconta – era costituita anche dai bachi da seta, un’altra fonte erano i funghi (ovuli e porcini) che si vendevano a Barbianis, come pure i marroni». Le castagne, infatti, servivano a tutto: abbinate al vino, assie me ad una mela come merenda, castagne arrostite a chi andava nei campi. «C’era chi preparava la polenta con una fetta di prosciutto, altri salame con patate, oppure minestrone col cotechino… Si andava a lavorare all’alba, avevamo fame già alle 3 del mattino; mio zio che era senza la mano sinistra portava nel bosco la damigiana da 25 litri, piena di Ribolla e l’acqua la pren devamo dalla sorgente», insomma racconti di un mondo che non c’è più, di quando c’erano i gamberi di fiume e che Romano Maran ci ha svelato!

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