Pauli il cesellatore delle vigne
di Claudio Fabbro
Le colline goriziane, dove la terra (marne ed arenarie eoceniche qui rinominate “ponka”) ed il microclima stimolano gradazioni alcoliche naturali di 13-14 gradi, possono ritenersi idonee anche per le bollicine? È un quesito che spesso e giustamente l’enoturista ed il lettore pongono e cui vedremo di dare una risposta, sulla base di personali esperienze. La conoscenza diretta, maturata in lungo periodo e positive frequentazioni presso l’azienda di cui ora scriveremo, induce a sfatare tanti luoghi comuni. Certo è che questo “brut” ci ha riconciliato con le bollicine, da cui ci stavamo allontanando dopo varie delusioni “Charmat” cui non è estranea, molto probabilmente, la sovrapproduzione o il raccolto anticipato o altro ancora.
DALLE BATTAGLIE ALLE BOTTIGLIE
Nella terra del Podgora (Piedimonte Monte Calvario, già teatro dell’omonima sanguinosa battaglia del 19 luglio 1916), che guarda dall’alto la riva destra dell’Isonzo, dopo le battaglie che portarono in quel mese alla presa di Gorizia (la Sesta durò dal 4 al 17 agosto), c’erano più residuati bellici che lombrichi. Ci vollero anni prima che la vita riprendesse in quell’angolo devastato del Collio. Anche la Seconda Guerra lasciò un segno difficile da dimenticare, seppur oggi chi lavora per traguardi di alto livello quali il Patrimonio dell’Umanità UNESCO Collio-Brda-Cuei e Nova Gorica-Gorizia GO! 2025 approfondisce preferibilmente storia e cultura, invece che i momenti drammatici vissuti a cavallo di un confine impopolare, che comunque dal 1947 al 2007 ha lasciato un segno. Contadini coraggiosi, come Dorce Sirk, non gettarono la spugna, anche se coltivare quelle colline con cavallo, aratro al traino e pompa a spalla non era il massimo. L’orto ed il pollaio, un po’ di frutta ed una “frasca” dove un onesto vino sfuso, bianco o rosso, richiamava i goriziani in bicicletta nel dopo-lavoro, che per molti di loro significava essere operai nel locale cotonificio. Fu qui che un giovane friulano mise su famiglia, agli inizi Anni ’80. Paolo Rizzi (Pauli per gli amici, e lui ne ha tanti) nasce nel 1960 in quel di Passòns (ergo Pasian di Prato, periferia rurale di Udine). Fresco di diploma (geometra), sportivo ed atleta, profano di arti agresti, non si negò a questa nuova esperienza. Galeotta fu la frequentazione di importanti vignaioli del Collio, Colli Orientali e della Brda, nonché di agronomi ed enologi. Fu un piacevole lavaggio del cervello cui si affiancò la paternità, con l’arrivo di Roman. Così cambiò la sua vita e le nuove passioni sostituirono quelle dell’adolescenza. Grazie a vari viaggi di studio in Francia (Alsazia, Chablis, Sancerre ma soprattutto Borgogna) il geometra-vignaiolo si innamorò del Pinot nero e delle bollicine, cogliendo talune analogie microclimatiche fra le vigne del Calvario e quelle di Champagne. Chardonnay e soprattutto Ribolla gialla vennero rivisitati, per una proposta originale di uvaggi che lasciò il segno nella zona. Attese che Roman f inisse gli studi per voltare pagina, specializzando un’azienda tradizionale mista in una realtà spumantistica classica artigianale. Agosto 2006: esattamente 90 anni dopo le devastazioni ed i lutti quelle terre martoriate conobbero un nuovo splendore, grazie ad una realtà che nella sua terza generazione ha ritrovato brio e creatività. Metti insieme la Ribolla (la tradizione locale), il Pinot nero (scuola Borgogna) e lo Chardonnay (cugino del Pinot bianco) ed ecco pronta la ricetta per la prima vendemmia di una “base spumante Classico” (cioè destinato a fermentare ed affinarsi in bottiglia per tre-quattro anni). Sin qui una parte della storia, che inizia dalla prima vendemmia, 2 settembre 2006. 2018, anno di profondi cambiamenti: Papà Paolo passa il testimone al giovane Roman e, da buon geometra, si dedica fulltime all’attività impiantistico-viticola (il cesellatore di vigneti). Roman si dedica alla vigna giardino sul ”ronco” sopra casa, nel cuore del Calvario. Un ettaro di perfezione, in cui albergano Chardonnay (50%), Pinot nero e l’autoctona Ribolla gialla, che fino a metà pomeriggio godono del sole e della brezza per poi andare nell’ombra. Nel senso che il microclima del Calvario, con forte escursione termica, è l’ideale per mantener profumi ed aromi. Da qui allo spumante “Classico” (Champenoise, per i francesi) il passo è breve e si consolida l’immagine del Piè di Mont (cuvèe con la permanenza di 32 mesi sui lieviti).
IL CLOS PINOT NOIR DI PAULI
“Pauli il Cesellatore” soccorre quando Roman chiama, e viceversa. Ma oggi la sua fama è ben rinsaldata sia nelle nostra colline (Collio e Colli Orientali) che in Brda, dove vignaioli storici (tanto per non far nomi Dario Raccaro, pioniere della Malvasia istriana in Cormòns, e Sylvio Jermann con la Ribolla gialla – alias Rebula in colline di vertiginose pendenze, da Venko a Visnjevik (SLO), che da 200 a 400 msl consentono a chi ci arriva di guardare la torre di Gonjace ed il mare ed uno spettacolo viticolo mozzafiato. In un momento in cui la corsa alla meccanica ed alle proposte da “Intelligenza artificiale” è crescente, fra una vendemmiatrice, un drone ed un elicottero, che talvolta sorvola per individuare e/o spegnere quei focolai che f ino al 2022 erano imprevedibili, ritrovare un “Cesellatore” come Pauli che, armato di vanga e piccone, lavora dall’alba al tramonto in condizioni estreme porta al fotografo un lavoro supplementare ed al giornalista una testimonianza che suscita incredulità. Per i vignaioli che si avvalgono della sua collaborazione i suoi metodi controcorrente costituiscono un ritorno d’immagine evidente. Per chi scrive un’ulteriore sorpresa viene dal Clos di Pauli Pinot Noir, cioè la sua recente creatura vitata che risale il Calvario-Podgora quale biglietto da visita e riconferma di quel grande amore nato 40 anni fa girando fra i vigneti di Borgogna.