...non ci resta che mangiar CIPOLLE!
Bianca, gialla, rossa, pungente, dolce, fritta, lessa, cruda, ci fa piangere quando la tagliamo, ma la nostra cucina non può farne a meno: la cipolla. Tanti sono gli usi di quell’ortaggio e altrettante le storie e leggende che lo circondano. Come l’aglio, la cipolla ha proprietà antisettiche e disinfettanti e queste qualità erano già note agli antichi che la usavano pure contro i malefici; bisognava però coglierla a luna calante, quando era sottratta all’influenza di Ecate, la dea della magia e dell’oscurità. In Grecia era consacrata alla dea Latona, una delle personificazioni della Grande Madre, che l’aveva adottata perché, quando era rimasta incinta, soltanto una cipolla ne aveva stimolato l’appetito. I pitagorici se ne astenevano perché eccitava la sensualità, caratteristica sottolineata anche dal poeta latino Marziale: “Quando hai moglie vecchia e membro molle non ti resta che mangiar cipolle”. Tra i Traci veniva usata come dono nuziale. Diversi i suoi usi medici: contro le irritazioni o i bruciori di stomaco si usavano mangiare cipolle bollite, bevendone anche l’acqua. In Sicilia si applicava alle punture di vespe ripetendo questo scongiuro per tre volte: San Paolu fici ‘a vespa e san Paolu l’addummò (S. Paolo fece la vespa e S. Paolo la domò). La cipolla era anche strumento di pratiche divinatorie: le ragazze indecise fra vari pretendenti incidevano su delle cipolle l’iniziale del nome di ogni spasimante, poi le sistemavano su un’asse del solaio, e quella che germogliava per prima corrispondeva all’uomo da scegliere. In Veneto un’antica tradizione prevedeva di mettere il sale in dodici veli di cipolla, ognuno dei quali simboleggia un mese dell’anno, che poi venivano esposti all’aperto nell’ultima notte dell’anno: quelli dove il sale si era sciolto rappresentavano i mesi piovosi, gli altri quelli secchi. Nella Bibbia, invece, viene associata al male, sia per la fastidiosa caratteristica di irritare gli occhi quando viene tagliata che per la forma a strati che rappresenterebbe un intreccio di falsità. Le prime tracce di consumo umano risalgono al 5000 a. C. Da noi è arrivata dall’Asia, in particolare dall’Iran e dall’Afghanistan. Contrariamente a tanti prodotti che arrivarono dal Nuovo Mondo, la cipolla fu introdotta ad Haiti da Colombo, anche se nel Nord America era già conosciuta (Chicago in lingua dei nativi americani significa “campo di cipolle”).
Sacra per i faraoni egizi, che la usavano come ornamento affascinati dalla sua forma concentrica, è protagonista di alcuni racconti religiosi anche nella tradizione cristiana. Tra questi merita di essere ricordata la leggenda della Madonna delle cipolle: un giorno un parroco aveva chiamato un pittore a dipingere una Madonna nella propria chiesa. Oltre a versargli un modesto compenso, per risparmiare gli dava come cibo solo pane e cipolle. Il pittore protestò ma il prete non sentì ragioni; l’artista, allora, architettò una vendetta: pretese che nessuno potesse vedere l’opera prima che fosse finita e il giorno dell’inaugurazione tutti videro che i volti della Madonna e dei santi apparivano disgustati e sembrava si voltassero da un’altra parte. I fedeli scoppiarono a ridere e il pittore spiegò: “con tutte le cipolle che mi avete costretto a mangiare, quella povera gente non ne poteva più del mio alito cattivo e si difendeva come poteva, e proprio la Madonna, trovandosi nel mezzo, era quella che soffriva di più”
Sono infinite le ricette che la vedono protagonista: dalle insalate, alle zuppe, ma anche arrosta o fritta. Di norma quella bianca va nelle zuppe o arrosta, quella gialla stufata e la rossa cruda. Certo, ci farà ancora piangere, lascerà l’alito pesante, ma non potremo farne a meno anche nella cucina del futuro.
di Stefano Pizzin