L’HAMMERACK a Malborghetto
Cucina raffinata e perfetto relax
di Stefano Cosma
Ho conosciuto Malborghetto quando ospitava la bellissima manifestazione Ein Prosit che diventava la scusa per una gita in montagna, d’inevitabile impronta enogastronomica. Avevo approfondito negli Anni ’90 la storia di questi posti, situati sull’importante via commerciale della Pontebbana, oggetto di dispute seicentesche sui dazi (già all’epoca…) imposti ai vini della Contea di Gorizia, il cui territorio arrivava fino al Tarvisiano. Malborghetto, infatti, era stato parte del Principato gradiscano degli Eggenberg (1647-1717). In tempi più recenti, seppur lontana, era tappa fissa la sera del 5 dicembre, quando i terribili krampus scendono dalla montagna per terrorizzare i bambini, mio figlio compreso, che li amava e li temeva! Così è accaduto anche pochi giorni dopo l’inaugurazione dell’Hotel Hammerack, avvenuta il 1° dicembre 2024. Sono entrati con le loro paurose maschere e con il suono dei campanacci ad impaurire il personale e gli ospiti, ma come accade sempre, San Nicolò li ha resi docili. Un’atmosfera di pace e relax che ci avvolge subito entrando nella hall, con il soffitto in legno, le pareti affrescate e comode poltroncine. «L’acquisto dell’Hotel Hammerack di Malborghetto rappresenta per me e la mia holding motivo di grande orgoglio – spiega Alessandro Pedone di Al.Pe. Invest Spa – non solo per la qualità eccezionale del bene aggiudicato, ma perchè si tratta di un ennesimo investimento nel mondo dell’hotellerie e per di più nella nostra terra alla quale siamo molto legati». Rilevato da un fallimento, è stato ristrutturato, completato, ampliato e arredato: ha una struttura centrale antica che risale al Cinquecento, uno chalet, altri due in fase di costruzione e una piazzetta interna. Ventuno camere, ristorante, bistrot, area benessere… Per scoprirlo mi sono fatto guidare da Sara De Stalis, giovane chef nativa di Ravascletto che coordina l’offerta gastronomica. È lei a rivelarmi l’etimologia del nome: dal tedesco hammer martello, perché anticamente c’era l’officina di un fabbro, di cui sono stati mantenuti i ganci che pendono dalle volte del soffitto di una stanza tutta in pietra a vista. «Questa era un’importante via di scambio e abbiamo ricostruito la “piazzetta” del commercio» spiega Sara, che dopo aver lavorato da Ilija, al Golf Club di Tarvisio, ed aver fatto altre esperienze ha deciso di tornare in Valcanale. «Volevo un ristorante in legno chiaro, sassi, pietre e con finestre luminose: qui ci sono questi elementi. Il posto giusto per tornare, è incantevole» ammette. Ma oltre alla bellezza del contesto, fra le montagne, e all’eleganza della struttura, ci vuole un menù adeguato. Anzi, due menù. Uno per il ristorante ed uno per il bistrot. «Il bistrot è aperto 7 giorni su 7, ha una proposta versatile e veloce, senza spendere troppo. Il ristorante, dove proponiamo una cucina di alto livello, è aperto solo a cena e la domenica anche a pranzo». Ci sono proposte per tutti i clienti, quelli che stanno più giorni e possono anche scegliere un’apericena, quelli che vengono in serata, per gli italiani, che rappresentano circa il 60%, e per gli stranieri che sono austriaci, sloveni e persino russi. «Il cliente deve capire dov’è, perciò la maggior parte dei prodotti sono locali e regionali, di nicchia» spiega Sara, che cita salumi Molinari, formaggi di Sauris; più tardi – come prova – ci porterà un piatto con deliziose fette di Pitina… Intanto, ci fa visitare la sala del ristorante, la piccola terrazza che dà sulla piazzetta, la sala col caminetto per le colazioni, tutte arredate con molto gusto, un misto di antico e di moderno. Uscendo si intravvede la SPA e dietro la vetrata una coppia in accappatoio rilassata sui lettini. Che invidia! Il tempo all’Hammerack scorre lento, penso… e vedo un enorme orologio sulla torre. «È la “Macchina del Tempo”, progettata e realizzata dal maestro orologiaio mantovano Alberto Gorla. Un’opera straordinaria che oltre al tempo scandisce anche le fasi lunari ed i segni zodiacali, mentre 23 campane allietano con melodie di Mozart» ci dice Sara, che poi ci conduce a vederlo da vicino, in cima alla torre dell’hotel. «Più bassa del campanile» fa notare, ma i miei pensieri sono già sul menù. «Non è stagionale, perché voglio valorizzare i prodotti del periodo, come ad esempio gli asparagi in questo periodo, così cambio solo alcuni piatti – racconta la chef De Stalis – e non l’intero menù. Aprile è il mese delle erbe spontanee, delle primizie, dell’aglio orsino». Quindi nelle prossime settimane potreste trovare risotti, gnocchi alle ortiche con ricotta affumicata, per la carne la salsa chimichurri fatta con l’aglio orsino. I cjarsons no: per scelta, per evitare di essere ripetitivi durante l’anno. E a Pasqua? «Come benvenuto ci sarà il cocktail lidric cul pòc: bevendolo si ritroveranno gli stessi sapori dell’omonimo piatto» ci svela Sara! Parlando di miscelati, eccoci all’Hammer Rock Cafè, il bistrot. La carta vini del ristorante spazia da etichette regionali al vicino Brda, da vini francesi a quelli della Nuova Zelanda «ci sono anche aziende piccole, non blasonate – spiega il sommelier Matteo – non abbiamo in lista alcun Prosecco, bensì Champagne e altri metodi classici italiani, e pure rari vini passiti e liquorosi». Ma ormai siamo all’Hammer Rock, dove dominano i cocktail. Per iniziare, Michele ci prepara uno con gin al basilico, sciroppo zuccherato, acido citrico, spumante e altro che non ricordo… il secondo con vermouth rosso, qualcosa alla cannella, grappa invecchiata in botti di whisky… eccezionali! Arriva Sara con fette di pane al segale fatto da loro, come tutto il pane, pitina di cervo e salame Molinari. Mentre ammiriamo i due barman miscelare ad arte per noi, ecco un piatto di branzino: «metto il branzino ancora intero in salamoia – Sara descrive il procedimento – poi lo asciugo e lo marino in un succo di rapa rossa per un’ora e mezza. Quindi lo scarpaccio e lo condisco con sale al limone e puntarelle crude». Eccezionale e delicato! Il tortello, che ci ha servito dopo, non ve lo racconto. Primo, perché pensavo ancora al branzino “scarpacciato” e mi sono scorpacciato tutto il piatto; secondo, perché dovete andare a Malborghetto a provare di persona.