LA VERZA nella gastronomia del Nord-Est
di Massimo Percotto
Non molti in Friuli conoscono la storia delle cruente battaglie che videro i verzârs (coltivatori di verze) di Feletto contrapposti ai cocjârs (coltivatori di zucche) di Paderno, entrambi sobborghi di Udine, e che durarono dal 1300 al 1875 per ottenere l’autonomia pastorale e un proprio Vicariato. A testimonianza di ciò e di quanto fossero già diffuse nel Medioevo le coltivazioni del cavolo-verza nei dintorni della città, si svolge ogni anno a Feletto Umberto, in occasione della festa del patrono Sant’Antonio Abate, la mostra mercato della verza. La celebrazione di questo tipico ortaggio invernale, contornata da interessanti conferenze e valide proposte gastronomiche, promuove la verza come “amica della salute”. In effetti sono universalmente riconosciute le proprietà salutistiche delle crucifere, verdure appartenenti alla famiglia delle brassicacee, così chiamate perché il loro fiore ha quattro petali a forma di croce. Alcune di esse, quali il cavolfiore, il cavolo cappuccio, il cavolo verza, il cavolo nero, il cavolo rosso, il cavolo riccio, i cavolini di Bruxelles, i broccoli, le cime di rapa, ma anche il rapanello e il rafano, possiedono notevoli qualità antiossidanti, antinfiammatorie ed antitumorali, oltre ad essere ricchissime di ferro, fibre, calcio e acidi grassi. Le sostanze in esse contenute contribuiscono inoltre a tenere sotto controllo la pressione arteriosa e a prevenire le patologie cardiovascolari e l’ulcera. Così come a Udine, in tutta la tradizione gastronomica del Settentrione il cavolo-verza (o più comunemente verza) assume un ruolo da protagonista nelle pietanze del periodo invernale. Molte sono le “cultivar” riconosciute quali Prodotti Agroalimentari Tradizionali: il cavolo verza di Montalto Dora e quello di Settimo Torinese in Piemonte, la verza moretta di Veronella e il cavolo cappuccio di Vinigo, in Veneto. In Friuli cresceva la particolare verza alta di Fanna, descritta da Antonio Zanon nel suo “Della coltivazione e dell’uso delle patate e d’altre piante commestibili” (Venezia, 1767), che ora risulta scomparsa. C’è poi da dire che nelle zone di più marcata influenza austro-ungarica, come la Venezia Giulia, la Val Canale e in alcune zone della Carnia, la verza è stata spesso soppiantata dal cavolo cappuccio. Tagliato a striscioline e inacidito dopo essere stato sottoposto a fermentazione lattica, prende il nome di crauti (a Trieste vengono chiamati capuzi garbi). Per cucinare le verze mantenendone inalterate tutte le sostanze nutritive e salutari bisognerebbe limitarsi a scottarle per pochi minuti in acqua bollente o a consumarle crude dopo averle lavate. Assodato che le loro caratteristiche migliori maturano dopo aver subito le prime gelate, sono innumerevoli nella nostra tradizione le ricette per gustarle, da sole od abbinate spesso alla carne di maiale. Dalla repouta valdostana, al sancrau piemontese, alla cassoeula milanese o bergamasca, al ris e verza cun custeina (riso e verze con costine) del piacentino, al pipetto del cremasco, alle verse sofegae (verze stufate) del Veneto, fino all’uso tipicamente contadino delle verze in brodo, che in Friuli predomina con l’aggiunta di riso, sedano e magari di un osso di maiale. Tipiche la zuppa invernale di patate e verza di Germano Pontoni e la minestra di ossa di maiale, verze e riso che si proponeva un tempo in alcune zone del Friuli subito dopo la macellazione del suino. In “Mangiare e ber friulano” di Giuseppina Perusini Antonini, si cita altresì una frittata di verze e si riporta l’uso comune di gustare le verze stufate in padella, lessate, o semplicemente crude, tagliate a striscioline. Oltre a ricette particolari come il fagiano con la verza di Villa Del Torre, preparazione di origine ungherese riservata alle tavole dei buongustai, vi è una preparazione tipica del Friuli Occidentale, riportata anche da Giuseppe Chiaradia nel suo “Salvia e Rosmarino” (Forum, Udine, 2018), che mi piace ricordare e che utilizziamo spesso in famiglia nel periodo invernale: la costa di maiale con le verze.
COSTA DI MAIALE CON LE VERZE
Ingredienti per 4 persone: 600 g di costa di maiale ben frollata (non certo quella appena macellata), 1 kg di cavolo-verza che abbia subito le prime gelate, 1 grossa cipolla bianca o rossa, 3 cucchiai di olio evo e 30 g di burro oppure un battuto di 50 g di lardo e pancetta, 1 spicchio di aglio, 1 gambo di sedano, 2 carote, 20 g di prezzemolo, 2 dl di brodo vegetale o di carne bianca, 1 bicchiere di vino rosso, 1 cucchiaio di aceto di vino, sale e pepe.
Procedimento Taglia a striscioline la verza, dopo averla lavata e asciugata, e trita finemente cipolla, sedano, carote e prezzemolo. In una teglia a bordi medio-alti fa soffriggere la cipolla nell’olio e burro (oppure nel trito), insieme con il sedano, le carote, il prezzemolo e lo spicchio d’aglio che verrà tolto dopo rosolato. Appena il soffritto è appassito, aggiungi le coste di maiale, salale e pepale, falle soffriggere lentamente aggiungendo il vino e l’aceto fino a quando saranno sfumati. Aggiungi quindi le verze tagliate a striscioline, porta ad ebollizione copri il tutto e cucina coperto per circa 1 ora e mezzo, mescolando di tanto in tanto e versandoci il brodo caldo qualora la pietanza si asciugasse e tendesse ad attaccare sul fondo della teglia. Assaggia e aggiusta eventualmente il sale, facendo cucinare ancora lentamente senza coperchio e mescolando fino a quando il liquido sia evaporato.
In molte ricette reperibili in rete viene indicato di aggiungere del concentrato di pomodoro (aggiunta molto recente). Personalmente preferisco la versione “tomato-free”, ma è ovvio che ciò dipende da gusti personali. Eventualmente si possono aggiungere insieme alle verze dei semi di cumino, dei chiodi di garofano, del pepe rosa in bacche, delle foglie di salvia sminuzzate e del rosmarino.