Il saporito fascino del proibito
di Stefano Pizzin
La sera del 15 gennaio 1920 nei locali degli Stati Uniti d’America si svolsero delle colossali bevute e i negozi di liquori vennero presi d’assalto per fare incetta di alcolici. A partire dalla mezzanotte, infatti, entrava il vigore il Volstead Act (dal nome del membro del Congresso Andrew Volstead del Minnesota) e il XVIII emendamento alla Costituzione che proibivano la produzione, vendita e consumo degli alcolici. Era il proibizionismo. Già a mezzanotte e tre quarti a Chicago una banda armata assaltò un treno carico di whisky per 100.000 dollari e al mattino il prezzo dell’alcol era andato alle stelle; iniziava così la stagione del contrabbando, degli speakeasy, i bar clandestini ai quali si accedeva con una parola d’ordine, dei gangster e delle distillerie fai da te. Per cocktail si intende una miscela di bevande alcoliche, non alcoliche e aromi; il nome ha un’etimologia incerta ma molti concordano che derivi da cock-tail, cioè la coda del gallo, probabilmente perché la coda del pennuto era variopinta come la bevanda nata da una miscela di liquori diversi. Oggi abbiamo centinaia di cocktail, tutti classificati dall’International Bartender Association, con le loro ricette e regole sul come venire serviti, e fu proprio durante il proibizionismo che il loro numero crebbe a dismisura e vennero scritti i primi ricettari. Paradossalmente, fu proprio l’assenza di un commercio legale dell’alcol e il diffondersi del suo consumo clandestino a favorire la nascita delle più diverse miscele. Nelle case e nei bar clandestini spesso arrivavano liquori scadenti e non si era in grado di programmare l’arrivo dei prodotti, cosicché un giorno arrivava, sempre di contrabbando, una cassa di whisky, il giorno dopo di tequila e il terzo di gin. Bisognava così aguzzare l’ingegno e mescolare liquori diversi, con altre bevande e aromatizzanti. Non sempre i risultati erano brillanti ma, trattandosi di bevute del tutto illegali, i clienti non avevano modo di protestare. Dal Canada arrivavano il whisky e il gin, mentre dai Caraibi e dal Messico il rum e la tequila, il resto veniva prodotto localmente nelle distillerie clandestine, a partire dal whisky bianco, una sorta di vodka di segale e mais assai scadente che però andava benissimo per essere mescolata ad altri ingredienti. Alcuni cocktail ancora oggi in voga nacquero proprio in quel periodo, come Long Island Ice Tea, una miscela di distillati, zucchero, limone e altre bibite che, serviti in delle caraffe, avevano il colore del tè freddo e, a prima vista, potevano ingannare i poliziotti. Altra bevanda famosa nata in quegli anni era il Sidecar, preparato con il cognac e qualche liquore all’arancia. Velocissimo da farsi, basta mescolare gli ingredienti con il ghiaccio, funzionava benissimo negli speakeasy dove gli avventori dovevano essere pronti a fuggire da qualche porta secondaria in caso di irruzione degli agenti. Il Mary Pickford prese il nome da un’attrice americana particolarmente famosa all’epoca e fu inventato da un barman di San Francisco che, miscelando rum, succo d’ananas, maraschino e granatina, lo dedicò all’attrice vincitrice dell’Oscar nel 1930. Sempre dedicato a un’attrice, Hazel Down questa volta regina dei musical a Broadway, era il Pink Lady, chiamato così come veniva appellata la stella del teatro. Bevanda dal colore rosa deve la sua consi stenza vellutata all’uso del tuorlo d’uovo. Proprio in quegli anni uscì il Savoy Cocktail Book di Harry Craddock, il libro sacro di tutti i barman, ancora aggi un manuale indispensabile per tutti gli appassionati. Craddock, il più famoso dei barman newyorkesi, lasciò l’America all’arrivo del proibizionismo per lavorare al Savoy Hotel di Londra dove, nel 1930, scrisse il libro che lo rese famoso. Come finì il proibizionismo? Nel 1933 il Congresso prese atto che tredici anni di proibizione degli alcolici non aveva certo eliminato l’alcolismo mentre aveva aiutato la criminalità e il contrabbando. Così, alle 17 e 27 di martedì 5 dicembre 1933, venne sancita la fine del Proibizionismo, gli americani poterono tornare a bere liberamente e le gang criminali videro andare in fumo affari da milioni di dollari. E il deputato Volstead? Beh, lui già nel 1922 aveva perso il seggio. Cosa ci rimane di quegli anni? Tante nuove miscele, film e romanzi sui gangster e i poliziotti, e la lezione che i vizi spesso è meglio regolarli invece di proibirli.
LA RICETTA: Long Island Iced Tea
Ingredienti: 1,5 cl di Gin, 1,5 cl di Vodka, 1,5 cl di Tequila, 1,5 cl di Rum chiaro, 1,5 cl di Triple sec, 2,5 cl di succo di limone, 3 cl di sciroppo di zucchero, cola.
Si prepara questo cocktail direttamente nel bicchiere. Si mette dapprima il ghiaccio, quindi gli ingredienti in parti uguali, il succo di limone, si completa con la cola (che dà il colore del tè) e si mescola delicatamente. Alla fine si decora con scorza di lime e limone. N.B. In origine gli ingredienti variavano secondo la disponibilità, c’era però la cola che dava alla bevanda il colore del tè, forse per ingannare i controllori.