Grado. Una storia di sapori e saperi antichi
La laguna di Grado rappresenta una realtà ricchissima di storia, cultura e tradizioni, troppo spesso trascurate e lasciate nascoste. A partire dal 452 d.C., quando le popolazioni si rifugiarono proprio qui per sfuggire alle incursioni barbariche degli Unni di Attila su Aquileia, si fondò una piccola comunità di pescatori e cacciatori, con un proprio patriarcato presieduto dal vescovo Secondo, fino al 1451. Dopo quest’anno la comunità gradese visse un periodo di isolamento, dovuto al trasferimento della sede patriarcale. Tempi di povertà che permisero ai graisàni di dare origine ad una cittadina semplice, ma allo stesso tempo ricca di bellezza. Qui gli abitanti della laguna vivevano sulle isole in case realizzate con canne e fango, i casuni, dandosi ad una vita fatta di pesce locale e cacciagione, praticata nella boscaglia a ridosso del mare. Al giorno d’oggi rimangono i resti di questa povera civiltà in ricette come il boreto a la graisana, realizzato con pesci poveri o comunque con quelli che raramente erano destinati alla vendita, accompagnato dalla polenta bianca, meno costosa di quella gialla. Anche la meno nota cultura legata ai volatili e alla selvaggina, dimostra come la boscaglia ai confini con la terraferma fosse ricca di risorse: antiche ricette riportano la tradizione di realizzare pasticci d’anatra, ricchi di spezie provenienti da Ravenna, tramite l’emporio di Aquileia. La presenza del pepe in abbondanza anche nel boreto stesso conferma questo antico legame che unisce la cucina di terra e di mare. Nel 1816, anno in cui Grado passò sotto il controllo degli austriaci, le condizioni della popolazione erano pessime. I pescatori avevano visto la distruzione di gran parte della loro flottiglia, dovuta ad un’incursione inglese sei anni prima, e si trovavano a dover affrontare la fame senza possibilità di altro sostentamento, causato dall’assenza di terreni coltivabili. Una soluzione parziale venne data grazie al governatore austriaco di Trieste che inviò un quantitativo di farine affinché la popolazione potesse sfamarsi. L’unica fonte di guadagno dei gradesi consisteva nella pesca, resa anche più complicata dall’irrequietezza del mare nei siti di pesca e dal lungo tragitto per giungervi. Anche la manutenzione della laguna, in particolare quella delle reti per la chiusa (seragia) e della semina del pesce novello, non consentivano alla popolazione di ottenere un ricavo considerevole. Una pratica piuttosto fruttuosa era la raccolta di frutti di mare, anche se con notevole sforzo per quanti dovevano restare ore chini e dediti alla raccolta, specialmente nel periodo invernale. I molteplici pescherecci che si fermano al porto, oggi riuniti nella Cooperativa pescatori di Grado, sfruttavano e sfruttano ancora oggi la ricchezza di pesci, oltre a quella di uccelli palustri, anch’essi utilizzati nella dieta dei pescatori e delle loro famiglie. Confinati sulle piccole isole e isolette di sabbia e fango, effettuavano scambi con la terraferma portando pesce salato, anche pregiato come il branzino, e rifornendosi dei sacchi di polenta, oltre all’acqua potabile assente nella laguna; vi era inoltre il cosiddetto batelante, che prelevava il pescato dai casoneri e lo vendeva al mercato della città, portando indietro i viveri alle famiglie. Gli scambi riguardavano anche la verdura, così come vino e olio dall’Istria, dalla quale talvolta provenivano anche le spose. Tra gli scambi commerciali vi era una preparazione tipica gradese, il matàn. Si tratta del pesce colombo o aquila di mare (Myliobatis aquila), che veniva pescato, tagliato a fette e fatto essiccare, appeso a dei fili oppure talvolta alla prua della barca. L’essiccamento durava da giugno ad agosto, quindi la preparazione prevedeva l’ammollo di 24 ore, la cottura con tanta cipolla quanto era il peso del pesce e l’aggiunta di sale, pepe e olio d’oliva. Si serviva con l’immancabile polenta bianca. Questo prodotto, che assieme al boreto a la graisana, rientra nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani, è antichissimo e veniva utilizzato nei momenti di carestia o nello scambio. Dopo l’annessione all’impero asburgico, la laguna divenne punto d’interesse per gli imprenditori austriaci che scoprirono il potenziale espresso dai fanghi curativi e dalle acque che permisero a Grado di divenire un’importante meta turistica.