GRADISCA, uno dei Borghi più Belli d’Italia
di Rossella Dosso
Gardiscja Imperiâl: i vecchi gradiscani la chiamano ancora così per rievocarne gli antichi fasti, quando la Casa imperiale austriaca la elevò, sotto il governo dei nobilissimi Principi di Eggenberg, al rango di Principesca Contea. Successe dal 1647 al 1717. Gradisca, oggi consacrata all’Isonzo, ebbe una storia scintillante grazie alla sua posizione strategica e sotto la Repubblica di Venezia fu fortificata, preservandola dalle invasioni straniere e – mamma li turchi! – soprattutto da quelle ottomane. Fu interpellato nientemeno che Leonardo da Vinci, che venne in visita nel 1500 per elaborarvi opere difensive speciali. Nel 1615, per due lunghi anni fu teatro delle Guerre Gradiscane tra la Repubblica di Venezia e la Casa d’Austria, al termine delle quali la Serenissima tornò in laguna con le pive nel sacco. Poi, accogliendo le istanze pressanti del Comune, nel 1855 – percepite come una costrizione – le mura furono abbattute e Gradisca divenne ancora più bella e accogliente, mettendo in mostra il suo f iore all’occhiello, destinato a verdeggiante giardino: la “Spianata” con i suoi parchi di platani, cedri, pini e ippocastani di cui i cittadini sono fierissimi. Ma, anche gelosi della loro “gradiscanità”: un forte legame d’appartenenza corroborato dalla consapevolezza di essere gli eredi di una vicenda storica luminosa e della necessità – noblesse oblige – di custodirne il blasone, oltre “all’orgoglio di discendere dall’invitto Leone, per il quale sentiamo amore e devozione di figli”, rivela Valentino Patuna, studioso esimio dei fatti gradiscani. Così, se costretti a lasciarlo, i gradiscani vi ritornano appena possibile nel loro luogo ameno, protetto dall’alato Leone di San Marco che troneggia nella centralissima piazza dell’Unità d’Italia.
C’è un’altra costruzione che Gradisca deve ai Veneziani: è il bastione roccioso adagiato sul “collisello“, la piccola altura sovrastante il fiume. Il castello durante le sue complesse vicende storiche andò incontro a diverse trasformazioni: sorto nel 1479 a fini militari, dopo le guerre napoleoniche diventò casa di pena; nell’800 fu adibito a tribunale, ma anche a carcere, e alla fine della prima guerra mondiale divenne una caserma. Oggi, dopo un lungo iter, la fortezza è aperta ai visitatori, ammirati dall’austera bellezza dei palazzi che abbracciano il centro storico: la Casa dei Provveditori Veneti del XV secolo, sede dell’Enoteca del Friuli Venezia Giulia, che attende di essere riaperta, la Loggia dei Mercanti del XVII secolo, che accoglie il Museo Lapidario, Palazzo Torriani, casa municipale, il seicentesco Monte di Pietà, i Palazzi Fin-Patuna, de Comelli, Carnelli Mistruzzi e Il Teatro – splendido – la cui facciata rifatta nel 1925 veglia sull’ariosa piazza. Con la ricostruzione postbellica gli edifici che oggi ospitano gli storici caffè gradiscani furono oggetto di un felice maquillage che ha esaltato le vocazioni della cittadina, raffinato salotto barocco che fa parte dell’Associazione dei Borghi più belli d’Italia, e rinomato centro di vita sociale, culturale e intellettuale. Nella sua storia radiosa Gradisca fu culla di musicisti valenti, tra i quali Edmondo Zumin, che nel 1898 ne compose l’inno: un amorevole tributo alla città. Oh! Gradisca, noi t’amiamo/per gli olenti tuoi giardini/per i bianchi tuoi villini/ per l’azzurro del tuo ciel! recita il canto. Un amore ribadito con enfasi nel ritornello: Se il Leone di San Marco/più non veglia sui torrioni/diverremo noi leoni/se il nemico attaccherà!