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Contenitori alternativi

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by Davide Zitter
Contenitori  alternativi
Photo by Martin / Unsplash

di Liliana Savioli

Purtroppo i consumi di vino sono in discesa costante, specialmente per i vini rossi. Tengono ancora gli spumanti a bassa gradazione e ad alto contenuto di zuccheri. I vinelli insomma. Ma c’è uno zoccolo duro di appassionati che continua a bere poco e sempre meglio. Ecco questo è il punto. Bere bene riconoscendo il vitigno e il terroir nel senso francese (come scrive Angelo Peretti nei suoi “Esercizi spirituali per bevitori di vino” oltre al suolo, al vitigno e al clima deve comprendere anche l’umanità). Questo comporta per i vignaioli un immenso lavo ro in vigna e altrettanto lavoro in cantina, utilizzando il meno possibile sostanze chi miche e privilegiando certi contenitori, piuttosto che altri per la vinificazione e la maturazione di questi prodotti. Ne parlavo tempo fa con Sandi Skerk di Prepotto (Ts), quando sono andata a visitare la sua nuova cantina. Inizialmente Sandi pensava di utilizzare il vetro, il materiale più neutro possibile, come contenitore per la fermentazione dei suoi vini per rispettare al massimo il territorio e portarlo integralmente nel bicchiere, ma non ha trovato alcuna vetreria che facesse dei contenitori grandi quanto voleva lui. Ha allora pensato a botti in pietra silicea, la componente del vetro, ma il Carso non ne ha di pietra silicea e non poteva pensare di importare delle pietre che non fossero della sua terra. Ma non si è lasciato scoraggiare e ha lasciato per un anno dei campioni di pietre, compresa quella calcarea del Carso, immerse nel vino. E, come al solito, aveva ragione lui. I tartrati, cristalli di acido tartarico, si attaccano alla parete della pietra creando un rivestimento naturale, come una pellicola, che permette l’utilizzo della pietra calcarea del Carso per la costruzione delle sue botti. Le botti sono interrate (alcune lo sono già) e all’interno sono di forma ovale per permettere una macerazione equilibrata e per effettuare al meglio le follature e permettere che i moti convettivi facciano il loro dovere. L’apertura che si restringe, poi diminuisce il contatto con l’aria e ciò è quello che cerca. Poi la fermentazione avviene lentamente, ci impiega circa il doppio del tempo normale, sia per la mancanza d’aria che per la temperatura costante molto bassa. Anche con Marco Perco, patron di Roncùs a Capriva (Go), se ne parlava alla presentazione della sua nuova creatura. Da uva Dorona prodotta nell’isola delle Vignole di fronte a San Marco a Venezia. Anche lui ha in progetto di affinare in vetro per non perdere l’unicità di quell’uva nata e cresciuta in uno dei posti più belli al mondo e continuando una tradizione storica, utilizzando dei contenitori da circa 300 litri prodotti dai maestri vetrai di Murano. Controcorrente, come sempre, Josko Gravner, di Gravner a Oslavia (Go), che continuerà a vinificare utilizzando i suoi Qvevri georgiani, ma che poi affinerà i suoi vini in vetro e non più nelle botti di rovere, o almeno in parte. La situazione è in evoluzione e credo le prove per arrivare a una scelta definitiva si protrarranno per anni. I Qvevri georgiani che Gravner ha interrato in cantina, e ora anche nel giardino, sono dei contenitori in terracotta che hanno una storia molto antica. Non sono anfore, come sbagliando si continua a dire, ma Qvevri. Le anfore, che spesso avevano maniglie, venivano usate per il trasporto e lo stoccaggio e sempre fuori terra. Mentre i Qvevri non vengono mai utilizzati per il trasporto e vengono completamente interrati, per mantenere stabile la temperatura, e sono utilizzati per la fermentazione e maturazione del vino. Sono prodotti a mano e sono rivestiti internamente da una coltre di cera d’api e all’esterno con cemento. Bene, parte dei vini di Gravner dopo essere venuti al mondo nei Qvevri andranno a continuare la loro crescita nel vetro. Due sono i contenitori scelti. Il primo da 10 ettolitri di Enokube per i piccoli lotti. Ma c’e bisogno di ben altro nella cantina di Oslavia. Ecco allo sorgere la collaborazione con l’azienda Pfaudler, specializzata in apparecchiature farmaceutiche in vetro. Assieme hanno realizzato un serbatoio in acciaio vetrificato da 70 ettolitri. Un processo di vetrificazioni a più fasi internamente da una coltre di cera d’api e all’esterno con cemento. Bene, parte dei vini di Gravner dopo essere venuti al mondo nei Qvevri andranno a continuare la loro crescita nel vetro. Due sono i contenitori scelti. Il primo da 10 ettolitri di Enokube per i piccoli lotti. Ma c’e bisogno di ben altro nella cantina di Oslavia. per garantire il massimo della mancanza di porosità, igienicità e mancanza di rilascio di sostanze nocive e senza i problemi elettrostatici, riscontati proprio da Josko Gravner quando, negli anni 90 del secolo scorso, ha buttato via tutti i nuovi contenitori in acciaio e ha iniziato a vinificare nei Qvevri. Vari contenitori, varie filosofie: un unico traguardo. Produrre vini di altissima qualità riconoscibili e, lasciatemelo dire, che diano gioia e felicità.

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