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Amarone Opera Prima

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by Davide Zitter
Amarone  Opera Prima
Photo by Fabio Sasso / Unsplash

di Liliana Savioli

Ha compiuto 100 primavere il Consorzio Tutela Vini della Valpolicella e lo abbiamo festeggiato alla grande durante la manifestazione Amarone Opera prima, la prima manifestazione importante vinicola dell’anno. La aspettiamo tutti con interesse e ogni anno troviamo sempre degli spunti nuovi per capire meglio questa denominazione che, con i suoi 4 grandi vini, diventa trasversale e affascina tutte le classi di età, come dice Christian Marchesini, il presidente «I quattro vini della Valpolicella riflettono i differenti gusti lungo tutto l’arco di una vita, e questo è probabilmente un unicum tra le denominazioni italiane. L’Amarone (ma anche il Recioto) per i consumatori maturi, il Ripasso per i millennials, il Valpolicella – un vino contemporaneo che non a caso Milo Manara interpretava con una donna – per i giovani». Duemilaquattrocento aziende, 360 imbottigliatori e un vigneto di circa 8.600 ettari, 51 nuove aziende entrate in consorzio negli ultimi 2 anni, numeri impressionanti. Continua Marchesini: «ci ha regalato tanti valori intangibili – identitari e di immagine – ma anche benessere per tutta la comunità, se pensiamo che nell’ultimo quarto di secolo il solo valore fondiario dei terreni vitati è cresciuto del 133% a fronte un’estensione dei vigneti del 65%. Se all’asset vigna aggiungiamo quello della cantina, il valore attuale della nostra denominazione arriva a circa 6 miliardi di euro». Ma cosa devono fare in futuro per non perdere terreno e credibilità? Ha risposto Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio del vino di Unione Italiana Vini, dopo un’attenta analisi «l’Amarone dovrà proporre al mondo un proprio cocktail, fatto di aree produttive e diverse vallate, del brand Verona, di stile e coerenza per un metodo atto a divenire esso stesso espressione di territorio». In poche parole il consiglio è di alzare il target, farlo diventare sempre di più un vino esclusivo, per pochi. Forse ha ragione. In questo momento di grande difficoltà i vini più venduti sono quelli a basso o altissimo prezzo. La parte centrale, per capirci le bottiglie dai 12 ai 30 euro, ristagnano. Chi beve giornalmente non cerca vini di qualità, chi beve sporadicamente li cerca ed è disposta a spendere. Poco ma buono è sempre stato il mio credo e son contenta che in molti stiano arrivando a ciò. Altro consiglio importante è stato quello di puntare maggiormente sull’accoglienza. Per esempio, il 15% del mercato dell’Amarone è americano, ma solo il 4% dei turisti che arrivano in Valpolicella è americano. I conti non tornano, bisogna allineare questi dati. Ma veniamo all’annata 2020 presentata alla manifestazione. Non è stata, meteorologicamente parlando, un’annata facile, anzi direi il contrario. Più volte è stato ricordato che è stato un anno “di cantina” in cui il lavoro fatto in cantina deve riuscire a coprire le mancanze derivanti dal tempo atmosferico. Un’ottima primavera ha portato a una precoce crescita vegetativa e poi tanta pioggia, specie in luglio, seguita da un agosto caldissimo con una vendemmia a metà settembre leggermente anticipata. Un’annata complessa con tanti sbalzi ha portato ad avere vini con una dotazione acidica importante, con ottimo potenziale di invecchiamento, da lasciare in cantina e vedere tra altri 5 anni come si comporteranno. Altro fattore da considerare è l’aumento della Corvina tra le uve facenti parti il blend, con Corvinone e Rondinella, per la sua adattabilità ai cambiamenti climatici, la resistenza al mal dell’esca e, avendo la buccia più spessa, la miglior possibilità di appassimento. Ovviamente ho degustato molti Amarone 2020, e anche molti 2021 e 2018 (due annate eccelse), e mi sono fatta un’idea ben precisa. Questo Amarone ha due anime ben distinte. Una già pronta, cicciotta, morbidosa, fruttosa, accondiscendente adatta a tutti, e poi l’anima ribelle verticale, pungente, fuori dagli schemi che ti intriga e ti fa innamorare. Per meglio farvi comprendere cito un brano da un testo inedito di Giampaolo Gravina pubblicato dopo la sua improvvisa dipartita. È un’intervista impossibile tra un viticoltore e un vitigno. Viticoltore: (contando con le dita) … colore … frutto … legno! Ecco cosa si cerca in un vino, altro che storie. Chi beve ha gusti facili, caro mio, niente a che vedere con le elucubrazioni dei critici enologici. Il consumatore consapevole non fa testo, è una minoranza inoffensiva. Chi si avvicina al vino cerca le conferme di una piacevolezza immediata: se ne frega dell’omologazione del gusto, vuole essere rassicurato! Vitigno: Ancora con queste fandonie del gusto facile e rassicurante… ma se lo sai benissimo che la gente non ne può più di questi vini morbidi e piacioni, dal tatto levigato e dai tannini dolci… si assomigliano tutti, non li vuole più nessuno! È finita l’epoca dell’esuberanza fruttata e della ricchezza alcolica, le nuove parole d’ordine del gusto sono: tensione gustativa, freschezza acida e sapidità. Servono vini da bere a tavola: dinamici, reattivi, verticali! Stesso vino, due anime diverse…

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da Davide Zitter

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